27 Set 2022

Regno Unito: Dio salvi la sterlina

Il mondo in tasca

Lunedì nero 

Sterlina al minimo storico: ieri la valuta britannica è sprofondata a 1,03 dollari, il valore più basso mai registrato dalla decimalizzazione della moneta nel 1971. Nelle ultime ore il pound ha poi recuperato fino a quota 1,08 dollari. Ma il suo calo (-4% da venerdì) resta fra i cinque peggiori delle ultime quattro decadi. 

Tanto che i mercati scommettono su un rialzo di emergenza dei tassi di interesse entro una settimana. E questo malgrado siano passati solo cinque giorni dall’ultimo aumento (+0,50%) deciso dalla Bank of England – che mai ha alzato i tassi al di fuori delle riunioni di politica monetaria programmate. Ma se la banca centrale punta a sostenere il pound moderando la domanda, il governo britannico la pensa diversamente. 

Lady di bronzo 

A dare il via al ribasso della sterlina è stato l’annuncio del nuovo governo Truss del più grande taglio delle tasse degli ultimi 50 anni, che cancella l’aumento dell’aliquota sui profitti aziendali e riduce quella sui redditi sopra le 150 mila sterline. Misure tutte a carico delle casse pubbliche, da 45 miliardi di sterline, con cui favorire la produzione di ricchezza di grandi imprese e fasce abbienti, sperando che il ricavato “sgoccioli” sul resto della popolazione

Da un lato Truss ammicca quindi alle politiche thatcheriane, ma dall’altro rafforza l’interventismo statale contro il caro bollette: congelate per due anni con una spesa da 130 miliardi di sterline per il prossimo biennio. Spesa finanziata, a differenza dal resto d’Europa, non con una tassa sui sovraprofitti energetici ma da nuovo a debito.

Tutti in Plaza? 

Agli annunci di Truss non ha reagito negativamente solo il mercato valutario, ma anche quello dei titoli di Stato. Il rendimento dei bond britannici a 10 anni è volato sopra il 4% per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2008, con un aumento da 131 punti base che non si vedeva dal 1979. Un trend al rialzo che ha contagiato anche il Vecchio Continente, con aumenti dei rendimenti (e quindi dello spread) in Grecia, Spagna e Italia.

Il dollaro forte sta quindi indebolendo più di un’economia. Come a metà degli anni ‘80, quando, con gli accordi del Plaza, i Paesi dell’allora G5 (USA inclusi) decisero interventi coordinati sul mercato dei cambi per cercare di svalutare la moneta americana. Che la storia si ripeta? 

 

 

 

 

Pubblicazioni

Vedi tutti
Not logged in
x