31 Ago 2021

Speciale Afghanistan: via da Kabul

Ritiro Usa

Partito l’ultimo volo americano dall'Afghanistan, la fine della guerra più lunga della storia Usa lascia una pesante eredità di promesse non mantenute, mentre nuovi attori avanzano sulla scena.

 

La partenza dell’ultimo aereo della missione militare a guida Usa in Afghanistan è stata celebrata a Kabul con raffiche di mitra e spari in aria dai principali check point dei Talebani, mentre urla di gioia si sono innalzate da altrettante postazioni nella ex “green zone”. L’ambasciatore Ross Wilson e il generale Chris Donahue – la cui immagine twittata dal Dipartimento della Difesa ha fatto il giro del web – sono stati gli ultimi due americani a lasciare Kabul e il paese, con 24 ore di anticipo sulla scadenza fissata al 31 agosto. È finita così, in un misto di giubilo, caos e totale incertezza sul futuro, la guerra in Afghanistan, la più lunga della storia americana. Un intervento iniziato come risposta agli attacchi dell’11 settembre, e che “ha consentito la cattura di Osama Bin Laden insieme a molti cospiratori di Al Qaeda” come ha ricordato il generale Kenneth McKenzie, capo del comando centrale Usa, nel videomessaggio con cui ha riportato la fine della missione. Una missione che oggi si conclude con gli americani e i Talebani che si ‘coordinano’ per garantire l’ordine, dopo la resa dell’esercito afghano e l’implosione delle autorità sostenute dalla comunità internazionale. Cala il sipario su una guerra dagli obiettivi ambigui e che, a due decenni di distanza, qualcuno definisce ‘persa’ fin da principio: costata agli Usa oltre 2400 vite umane, 100 miliardi di dollari all’anno per vent’anni e di cui, oggi, la maggior parte degli americani non vuole più sentir parlare. Ieri notte l’ultimo C-17 dell’esercito a stelle e strisce si era appena staccato dal terreno, che i Talebani proclamavano la “piena indipendenza” e dispiegavano uomini all’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul. Nonostante abbiano assicurato che le evacuazioni, per chi vorrà, continueranno, decine di migliaia di afghani – tra cui collaboratori delle ambasciate, attivisti, giornalisti e oppositori dei talebani o semplici civili che temono il ritorno dell’Emirato islamico – continuano a fuggire verso le frontiere con i paesi vicini. Per tutti loro, la ‘guerra infinita’ è lontano dall’essersi conclusa.

 

Un futuro ignoto?

Gli Stati Uniti completano il ritiro dall’Afghanistan lasciandosi dietro una strage di civili. Dieci, tra cui sei bambini, tutti della stessa famiglia: a riferirlo è il Washington Post citando familiari delle vittime, che stavano uscendo in auto dal vialetto di casa quando sono state colpite da un drone. Gli Stati Uniti hanno aperto un’inchiesta, ma sembra che la strage sia il risultato di un errore fatale – di quelli che il Pentagono “non conferma e non smentisce” – e che i civili siano stati uccisi nel corso di un raid contro un kamikaze dello Stato Islamico. Intanto centinaia di persone continuano ad ammassarsi fuori dalle banche di Kabul nella speranza di riuscire a prelevare dai bancomat o dai loro conti, inaccessibili da quando i Talebani hanno ripreso il potere. Alcuni, riporta il corrispondente di Al Jazeera nella capitale afghana, sono arrivati alle 4 di mattina. Secondo l’emittente qatariota, ci sono stati scontri davanti ad alcuni istituti di credito con i Talebani che hanno lanciato sassi per disperdere la folla. Tra i timori della popolazione c'è quello che la fuga delle forze straniere e il crollo repentino del governo lasci in eredità agli afghani casse vuote e un’economia in rovina. “Su tutto – osserva Thomas Gibbons-Neff sul New York Times – regna un'ansia diffusa su quale volto mostrerà il governo talebano quando gli americani se ne saranno davvero andati”. 

 

 

Un paese diverso?

L’Afghanistan che i Talebani riprendono in mano dopo venti anni di conflitto conta oggi 38 milioni di abitanti. Loro, che finora hanno solo combattuto, dovranno dimostrare di essere all’altezza di governare un paese profondamente cambiato. Secondo quanto fatto trapelare in questi giorni – l’annuncio di un esecutivo non arriverà prima della prossima settimana – il governo che hanno in mente di creare sarà composto da un consiglio di 12 uomini. Hanno detto che stabiliranno un sistema islamico, ma non sono scesi in dettagli su come e chi lo guiderà. Inoltre, non è chiaro fino a che punto le rassicurazioni pronunciate dai leader del gruppo – molti dei quali hanno trascorso anni in esilio dopo il loro rovesciamento nel 2001 – abbiano realmente presa sulla base del movimento. Quello che appare certo, al momento, è che il finanziamento delle attività di governo fornisce ai paesi stranieri un potere di pressione. Sotto il deposto governo gli aiuti esteri rappresentavano il 75% del bilancio del governo e circa il 40% del Pil. Ora è tutto sospeso. Gli Stati Uniti hanno congelato anche gli oltre 9 miliardi dollari della banca centrale in attesa di capire se i Talebani manterranno le promesse fatte. Ciò pone la comunità internazionale in un equilibrio delicato: sospendere i finanziamenti per spingere i Talebani a rispettare i diritti delle donne e delle minoranze, senza provocare il collasso economico di un paese già sull’orlo del baratro.

 

 

Nuovi attori protagonisti?

“Il ritiro non è la fine delle responsabilità, ma l’inizio della riflessione”: a dirlo è il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, commentando nel briefing quotidiano la partenza delle ultime truppe americane da Kabul. Senza menzionare direttamente gli Stati Uniti, il diplomatico ha sostenuto che la Cina spera che i “paesi rilevanti” cambino quella che ha definito “la pratica sbagliata di imporre la propria volontà agli altri”. Sia Cina che Russia si sono astenute sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza volta a creare un “passaggio sicuro” per le persone che cercheranno di lasciare l’Afghanistan dall’aeroporto di Kabul dopo il ritiro degli Stati Uniti. Gli altri 13 membri del Consiglio di Sicurezza hanno votato tutti a favore della proposta che, tuttavia, non prevede la ‘zona di sicurezza’ proposta da Francia e Regno Unito. Intanto la Turchia annuncia di essere pronta a impegnarsi nella gestione dell'aeroporto Hamid Karzai di Kabul, in collaborazione con i Talebani. “Abbiamo un’affinità con l'Afghanistan che risale alla storia, un passato e valori comuni – ha ribadito il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar –. Stiamo seguendo e valutando. Se la situazione e le condizioni lo consentiranno, siamo pronti”. Calato il sipario della guerra, dunque, cambiano gli attori. Ma nel nuovo scenario afghano l’Occidente vede ridursi drasticamente la sua capacità di influenzare il futuro corso degli eventi.

Il commento 

di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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